Filippo De Pisis artista della prima metà del 1900, inizia da adolescente a scrivere poesie, dedicandosi anche allo studio della pittura sotto la guida del maestro Odoardo Domenichini nella sua città natale, Ferrara.
Nel 1915 incontra De Chirico e il fratello a Ferrara per il servizio militare e nel 1917 Carlo Carrà. Entusiasmato dal loro modo di concepire la pittura, ne condivide lo stile metafisico, ma poi brevi soggiorni a Roma e a Parigi all'inizio degli anni venti gli aprono nuovi orizzonti pittorici.
Inizia ad elaborare uno stile fatto di suggestioni e soggetti del tutto originali, dove il tratto pittorico diventa spezzato quasi sincopato che Eugenio Montale definì "pittura a zampa di mosca".
Tornato a Parigi, il soggiorno si protrasse ininterrottamente per quattordici anni rivelandosi proficuo sotto vari aspetti, ed essenziale sotto l'aspetto artistico. Conobbe, proprio nella capitale parigina le tecniche di Edouard Manet e Camille Corot, Henri Matisse e i Fauves, per un uso più gestuale del colore e, oltre alle nature morte, dipinge nel periodo parigino paesaggi urbani, nudi maschili e immagini d'ermafroditi.
Entra quindi a far parte degli "italiani di Parigi", un gruppo d'artisti che comprendeva de Chirico, Savinio, Massimo Campigli, Mario Tozzi, Renato Paresce e Severo Pozzati, e il critico francese George Waldemar (che alcuni anni prima aveva scritto una monografia su de Pisis) presenta la mostra "Appels d'Italie" alla Biennale di Venezia del 1930.
L'anno dopo, per illustrare il libro del suo grande amico Giovanni Comisso, esegue una serie d'acquarelli, poi parte per l'Inghilterra, un viaggio breve che ripeterà ben tre volte, stringendo rapporti d'amicizia con Vanessa Bell e Duncan Grant.
Allo scoppio della seconda guerra mondiale nel 1940, i sintomi della malattia nervosa, della quale era affetto fin da ragazzo, sono sempre più evidenti, ma continua lo stesso a lavorare. Si trasferisce a Milano, poi a Venezia, ed è qui, negli anni 1946-47, frequenta anche il pittore forlivese Maceo (1899 – 1992).
Più tardi, a Roma, scoperti i toni caldi della pittura settecentesca, li riversa nelle nature morte e nei fiori, che divennero l'argomento prediletto.
Proprio in questo periodo dipinge l’opera qui rappresentata, mettendo in essa tutte le influenze artistiche avute nel corso della propria vita. In quest’opera lo stesso dipinge elementi del cibo italiano mescolati ad elementi francesi, come a sottolineare la mescolanza delle culture e l’influenze delle stesse sulla sua vita.
Le immagini che l'artista dipinge sono, più che disegnate, evocate e circondate da un continuo clima poetico.