Oggi vi racconterò una storia che conosco molto bene, una storia fatta di valori autentici di una famiglia in cui ho avuto la fortuna di crescere e della vita di campagna.
Sono cresciuto fin da piccolo in un podere dell'Agropontino, uno di quei casali dati dall'allora Opera Nazionale dei Combattenti alla mia famiglia, che lo possiede ancora oggi.
La mia famiglia materna, emigrata nella ex Jugoslavia prima dell'avvento del fascismo da Trento, tornò in patria durante l'epoca fascista per occuparsi della bonifica e della lavorazione delle terre bonificate in questa estesa pianura a sud di Roma.
In quegli anni, molte delle famiglie del triveneto erano richiamate in patria con la promessa di una casa e di terra da coltivare.
Da subito in queste terre i miei avi piantarono la vite, una pianta che di li a poco avrebbe dato i propri frutti. Un lavoro enorme durante tutto l'anno, per far si che le uve venissero rigogliose per la fine di settembre, veniva fatto da tutta la famiglia, che viveva all'interno del podere in una struttura totalmente patriarcale.
Nel mese di settembre, a maturazione, l'uva veniva raccolta per essere in parte venduta al consorzio ed in parte trasformata in vino.
Di certo, non posso ricordare la bellezza e i colori della vendemmia di un tempo, ma da quando sono nato, per me, il mese di settembre è il mese della vendemmia, dei profumi acri nella mia terra, del colore giallo paglierino dell'uva che si mescola con le prime foglie che cadono dagli alberi.
Negli anni, se da una parte ci sono sempre state le donne e gli uomini impiegati nella raccolta dell'uva dall'altra parte c'erano altrettante persone che si occupavano della casa e di rifocillare i lavoratori in campagna.
Ebbene, due volte durante la giornata, dal podere qualcuno partiva con il caffè.
Il cestino preparato con cura aveva in sé delle tazzine di plastica con l'interno bianco e l'esterno marrone, una brocca di vetro con un manico rosso pieno di caffè bollente, alcuni bicchieri e delle bibite gassate, per lo più l'aranciata, una bevanda che troviamo tutt'oggi a casa delle nonne e che nella mia famiglia in questo periodo dell'anno è sempre andata di gran moda.
Il caffè portato nella vigna, assumeva un valore che passava dall'essere una bevanda calda ad essere un elemento di convivialità. I lavoratori facevano una pausa, chiacchieravano tra loro del più e del meno, con le mani ancora appiccicose dello zucchero d'uva. L'odore acre dell'uva appena raccolta nei bigonzi neri si mescolava con l'odore pungente e dolce del caffè, impastandosi in una fetta di dolce che non mancava mai nel cesto della merenda.
Il caffè della vendemmia diventava così un punto fermo della giornata lavorativa, creando condivisione e amicizia.